Un leone di carta!
Lo dice anche un professore universitario che la nostra autonomia è finta! Si chiama Mario Rey e insegna Scienze delle Finanze all’Università di Torino. «La Regione Valle d’Aosta non ha autonomia impositiva e vive di finanza derivata, trasferimenti dello Stato che la mettono in condizione di dipendenza. Un’autonomia di questo genere rischia di essere soggetta a un grosso condizionamento politico». (La Stampa). Non rischia: è soggetta al condizionamento politico! Tanto che l’Union, il partito di maggioranza, ha trovato la sua ideologia nel concetto: né a destra né a sinistra, ma a destra e a sinistra per il bene della Valle. Bene che si traduce nei soldoni da cui dipendiamo dallo Stato. Questa ideologia è stata ricordata con una certa pedanteria e senza vergogna alcuna, durante i recenti fatti politici che hanno visto i rappresentanti dell’Union e del PdL avvicendarsi a Roma. Siamo un leone di carta e il federalismo fiscale una forbice di acciaio.
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25 ottobre 2010 a 06:24
A proposito di economia assistita e di dipendenza finanziaria dallo Stato, segnalo mercoledì 27 ottobreore 21 a Pont-Saint-Martin, Biblioteca, la presentazione del libro di Riccarand, di cui si è tanto parlato qui, con la partecipazione di Luca Ricolfi, economista e giornalista de La Stampa, una delle menti più lucide su questo tema. Sicuramente da non perdere, perché dirà la verità sulla manovra finanziaria e sui tagli che ci aspettano REALMENTE nel 2011 e negli anni a venire, non le solite frottole di regime cui siamo abituati qui in vallée.
25 ottobre 2010 a 06:38
ecco una sintesi del libro di Ricolfi “Il sacco del Nord” dal sito ibs.it. Guardate un po’ se trovate che possiamo riconoscerci …”Esiste un modo rigoroso per distinguere fra il reddito che un territorio produce e quello che riceve? Qual è il credito (o il debito) di ogni regione nei confronti di tutte le altre? A che cosa è dovuto l’eventuale debito? Troppa evasione fiscale? Troppa spesa pubblica? Troppa inefficienza nell’erogazione dei servizi? Se il federalismo dovesse fare sul serio, ossia attuare davvero qualche principio di giustizia territoriale, come cambierebbe la distribuzione delle risorse fra le regioni italiane? Per rispondere a queste e ad altre domande essenziali è necessario ricostruire dalle fondamenta la contabilità nazionale. Servono lenti nuove, per guardare l’Italia senza le lacune e le zone cieche della contabilità ufficiale. Ed è precisamente questo che fa la contabilità nazionale liberale, uno schema di analisi che riprende la distinzione classica tra settore produttivo e settore improduttivo dell’economia. Sulla base di questo schema e di un’immensa quantità di dati, raccolti non solo a livello nazionale ma singolarmente regione per regione, Luca Ricolfi fornisce una prima serie di risposte. E lungo il cammino non scopre solo le dimensioni del “sacco del nord”, oltre 50 miliardi che ogni anno se ne vanno ingiustificatamente dalle regioni settentrionali, ma tanti aspetti dell’Italia che non conoscevamo ancora”.
25 ottobre 2010 a 10:43
La dipendenza economica è inconciliabile con il concetto di autonomia. La parola “autonomia” e l’aggettivo “autonoma” applicati alla valle d’aosta sono un abuso (di parola). Si dovrebbe dire correttamente: “a statuto speciale o particolare”. Analogamente definire “regione” la valle d’aosta è un altro abuso (di parola) o refuso costituzionale. Nell’ordinamento amministrativo italiano, la valle d’aosta è una provincia, ed anche quantitativamente ed economicamente irrilevante. Per la valle d’aosta l’espressione corretta dovrebbe essere: “provincia a statuto speciale o particolare”. Con buona pace di quanti, dieci volte al giorno, si sciacquano la bocca con la parola: “autonomia”.
25 ottobre 2010 a 12:11
La dipendenza economica è quanto lo Stato desidera per tenere sotto controllo qualunque entità subordinata. L’assenza di concrete prospettive federaliste per una reale autonomia impositiva e finanziaria è precisamente volta a mantenere tale condizione. Gli schermi di fumo frapposti nel nome dell'”unità del paese” o della “doverosa solidarietà” sono solo, appunto, menzogne volte a perpetuare il potere di una ristrettissima classe dirigente che nulla vuole cedere della propria influenza, che la si chiami anello della repubblica, cerchio superiore o altro. Basti pensare a come l’Italia ha massacrato il suo Meridione, proprio nel nome dell’unità e della solidarietà, per convincersene. Per chi fosse ancora scettico, consiglio di consultare i lavori preparatori dello Statuto Speciale, dove si legge per esempio che Einaudi sarebbe stato teoricamente favorevole a concedere autonomia impositiva e di riscossione alla Valle, ma che si vedeva suo malgrado costretto a rifiutare per il caritatevole timore che i Valdostani da soli non ce la facessero. Proprio il liberale Einaudi, quell’Einaudi che pure voleva abolire i prefetti e che concionava sulla necessità di bilanci in equilibrio, fece, come tanti altri, di tutto per evitare che la popolazione – quella valdostana tra le altre – fosse responsabilizzata e che perciò potesse poi gustare a quel piatto inebriante chiamato libertà. Tra il discorso di Silvio Gava sulla politica del rubinetto (1951) e le trattative più o meno opache di Rollandin a Roma non vi è perciò soluzione di continuità: schiavi di Roma eravamo e schiavi rimaniamo. Roma sceglie il proconsole (e fu d’altronde la presenza in loco del fido Passerin d’Entrèves a suggerire la coincidenza tra funzioni di presidente della giunta e prefetto) e permette poi che sia legittimato agli occhi del vulgus pecus da un’elezione. Ma il potere reale lì rimane, tanto che se a volte il proconsole dimentica di essere solo pro-, viene prontamente rimosso dall’azione di una magistratura che si risveglia dal suo apparente ma in realtà occhiuto letargo. Altrimenti detto: che questa autonomia sia miseramente fallita è un fatto, ma occorre anche ricordare che autonomia reale appunto non è e non fu mai.
Il vero dramma è purtroppo che la Roma che ci tiene schiavi non è quella imperiale, crudele bensì ma anche grandiosa. E’ quella di nauseabondi impasti massomafiosi, incapaci di alcunché se non giustamente di malamministrazione e di una rapacità senza limiti. Al punto che, secondo Scarpinato o Ricolfi tra gli altri, finirà per distruggere il substrato (noi) del quale si nutre, pur di assecondare la sua incontenibile pulsione predatoria. A ben vedere, ci siamo già: la crisi finanziaria non si è conclusa, quella economica è appena cominciata – e sarà lunga e dolorosa -, ma la ghenga immonda continua indisturbata nel suo turpe pasto. Certo, vedere gli attuali reucci locali che danno perfino lezioni di etica nell’amministrazione, mentre questori e alti magistrati tengono loro bordone, può infastidire o lasciare increduli.
Ma si tratta soltanto dell’epifenomeno di un male più grave, che possiamo chiamare Italia o anche decadenza dell’Occidente, del quale dobbiamo ancora misurare tutti i potenziali effetti distruttivi. Il mondo si prepara a una dislocazione degli equilibri di potere cristallizzati dal 1945 e l’Occidente in generale, l’Europa in particolare e in Europa l’Italia forse più di tutti si trovano in pessima posizione per uscire vincitori dal confronto. Quando, presumibilmente nel prossimo lustro, questa rivoluzione esplicherà compiutamente i suoi effetti, soffriremo, e tanto.
Ci vorrebbero uomini, quelli sì, ma da tempo non ne produciamo più. Cerchiamo allora almeno, così come fa Patuasia con i suoi collage, di trovare materia alla risata in una materia che per sua natura provoca invece abitualmente ribrezzo.
25 ottobre 2010 a 13:04
Tanto di cappello al post di Clotilde.
Finalmente uno spiraglio anche in questi poveri spazi.
Complimenti Clotilde.
25 ottobre 2010 a 13:10
“La dipendenza economica è quanto lo Stato desidera per tenere sotto controllo qualunque entità subordinata.”. Se al posto dello Stato leggete Regione e al posto di Roma leggete Palazzo Deffeyes, ecco che la lucida e spietata analisi di Clotilde si riflette su di noi valdostani. Mai come in questo periodo storico, la somiglianza fra il potere locale e quello nazionale è così inquietante.