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No, lui no!

24 giugno 2013

Che la ‘ndrangheta si sia infiltrata nella politica e nell’economia valdostane comincia a essere a conoscenza dei più. Diverse sono le famiglie calabresi coinvolte non solo i Nirta e i Facchineri ora spunta anche la ‘ndrina dei Pesce. “Ci siamo trovati con un substrato culturale di marca tipicamente mafiosa, in cui ogni presunto comportamento avverso alla famiglia Taccone (gli arrestati nella recente operazione Hybris e legati alla famiglia Pesce della Piana di Rosarno) dai suoi stessi componenti vissuto come un affronto da lavare con il sangue” (Gazzetta matin). Così si è espresso il tenente colonnello, Massimilano Rocco durante la conferenza stampa di presentazione dei risultati conseguiti nell’operazione “Hybris”. Si prosegue con una frase importantissima e carica di responsabilità verso tutti noi e in primis verso le istituzioni: ” … preoccupante è l’omertà riscontrata in tutte le vittime senza distinzione per nessuno. Speriamo che da questa operazione possa partire un vero e proprio scatto in avanti della società civile”. Ecco la società civile, ma soprattutto le amministrazioni regionali e comunali, devono dare esempi di rigore e moralità per contrastare le infiltrazioni mafiose. E invece il Comune che fa? Anche quest’anno dà, sottoforma di contributo per l’energia, 5.000 euro e la concessione temporanea dell’utilizzo di beni logistici in disponibilità del Comune di Aosta e di eventuali altri beni e servizi, ritenuti utili alla migliore riuscita della Festa di san Giorgio e Giacomo. Una festa usata anche per incontri malavitosi (vedi sentenza Tempus venit) e che vede come patron organizzatore quel Giuseppe Tropiano ora indagato nell’inchiesta dei carabinieri sulla costruzione del nuovo parcheggio pluripiano dell’ospedale Parini di Aosta con l’accusa di abuso d’ufficio e turbativa d’asta e già condannato a un anno e 4 mesi per favoreggiamento nell’inchiesta “Tempus venit”. Se gli organizzatori della Festa dei calabresi non hanno avuto il buon senso di chiedergli le dimissioni, il Comune avrebbe dovuto averlo. Avrebbe dovuto fare quello scatto in avanti richiesto e non concedere nessun contributo pubblico. Un segno fermo e inequivocabile di lontanza da qualsiasi afrore criminale fosse anche solo un accenno. Ma il sindaco Bruno Giordano-amico-di-Milanesio-amico-dei-calabresi, come può segnare questa distanza? Come può “non favorire la crescita socio-culturale del proprio tessuto connettivo e la socializzazione degli abitanti della zona?” (tratto dalla delibera n. 617). No, lui non può.

La ‘ndrangheta made in VdA (9° puntata)

1 Maggio 2013

Le motivazioni della sentenza Tempus venit  demoliscono la tesi difensiva, secondo cui sia i Raso che i Tropiano sono mere vittime, estranei alla mentalità ndranghetista e intimoriti dalla richieste e minacce subìte. Così la dr.essa Bompieri:
La concezione che i Raso e invero gli stessi Tropiano hanno del proprio ruolo e della piega che le trattative possono prendere, si svela già il 30 luglio: investito a pieno titolo della funzione di mediatore con il compito di individuare gli estorsori e condurre le trattative, Michele Raso, appena identificato l’estorsore (nell’interrogatorio al Pm, Michele dirà che era stato suo fratello Salvatore, quello assassinato  il 17 settembre 2011 a san Giorgio Morgeto in contrada Sant Eusebia, ad identificare Facchinieri, ndr) e ancor prima di incontrarlo per la prima volta, ricorda ai Tropiano che, in ogni caso, c’è “un codice” da rispettare. Più precisamente, riferisce la condivisione di questo codice a un non meglio definito “noi”.
Ecco l’intercettazione:
……noi abbiamo un codice… su questo lavoro ti dico Romeo (un fratello Tropiano, ndr)  a me devi dare … … sopra lo scavo ..… al getto me ne dai tanto …. se il lavoro e di 200 mila euro a me devi dare 10 mila euro …..”
Esprimendosi in questa maniera,  che vuol dire Michele Raso? Quale risultato vuole ottenere da Romeo Tropiano? Ecco la conclusione della sentenza: “riconducendo questo codice ad un patrimonio comune e condiviso in un certo ambito e, ricordandolo ai Tropiano, rafforzando in loro il già esistente atteggiamento di possibile cedimento alle richieste estorsive, … immediatamente la preoccupazione di Romeo diventa l’individuazione del soggetto a cui consegnare il denaro.”
Ecco l’intercettazione:
Tropiano Romeo: “e a chi li diamo?”
Raso Michele: “solo lui lo sa… lui non vuole che si dice…

E, alcuni giorni dopo, confidandosi con amici, Giuseppe Tropiano, certo del fatto che “è gente che conosciamo perchè non si vogliono far vedere capito?”, cercava di trovare una soluzione al dilemma relativo alle modalità attraverso cui effettuare il pagamento, in mancanza di incontri:Se non si vogliono fare vedere come pensano di risolvere questa cosa … un milione di euro come te li do? Lascio delle tracce dappertutto…cosa ti faccio un bonifico?
Prosegue la sentenza: “Due aspetti, che emergono dai dialoghi intercettati, meritano di essere evidenziati. La prima è già stata accennata: esiste, condivisa nell’ambiente comune ai RASO e ai TROPIANO, una sorta di ”regola” circa la spartizione di proventi di attività imprenditoriali. E’ significativo che, in una conversazione  intercettata, parlando con Tropiano Giuseppe dell’omicidio di Raso Salvatore, un loro conoscente commentasse:
ah si è … Peppe io per queste cose non mi dispiace tutti possiamo avere bisogno ma uno va civilmente e bussa penso che nessuno gli dice di no …ma no in questa maniera dai, poi pure pretese hai ? …”.

Insomma l’anonimo esprime disapprovazione non per l’omicidio, ma per il fatto che sia stato commesso mentre la “trattativa” gestita dai Raso  era in corso. Insomma una semplice infrazione al galateo, all’etichetta. Conclude la sentenza: “ allora, ben si può affermare che i Tropiano, i Raso, e il loro ambiente percepivano la richiesta di partecipazione al profitto derivante dal lucroso affare dei primi, da parte di soggetti estranei all’affare stesso, allo stesso modo e, precisamente, come un fatto possibile;
la richiesta estorsiva non è accolta dai Tropiano e dai Raso con lo stupore intimorito di chi è colto di sorpresa da un fatto inaspettato, imprevisto e imprevedibile, dai contorni completamente sconosciuti, come in qualsiasi episodio estorsivo; i commenti e le valutazioni riguardano, piuttosto, il “come” la richiesta è avanzata e il “come” essa debba essere affrontata e gestita; la circostanza è ricondotta a qualcosa di “naturale” e, proprio per la sussistenza di certe regole e per l’evidente condivisione delle stesse tra i protagonisti, tutti concordano con il fatto che “ciò che è dovuto, è dovuto”: tanto che basta “chiederlo”. Sicché l’aspetto che, dopo l’omicidio di Raso Salvatore, un loro conoscente  ritiene censurabile (ma lo stesso disappunto si evince anche dai dialoghi tra i fratello Tropiano, già a seguito dell’esplosione dei colpi a San Giorgio Morgeto) è la modalità attraverso cui la vicenda è stata portata avanti:

uno va civilmente e bussa penso che nessuno gli dice di no …ma no in questa maniera dai”. (roberto mancini)

Tempus venit

18 febbraio 2013

C’era la Fiera di Sant’Orso che catturava tutta l’attenzione, la digestione  e la felicità dei valdostani – dunque  la cosa è passata un po’ in secondo piano. Fatto sta che i media non hanno opportunamente valorizzato la sentenza “Tempus venit”, quella dell’affaire Facchineri-Tropiano.
Dopo un’esemplare indagine della Dda e dei carabinieri di Aosta, la conclusione è  stata di condanna per tutti gli imputati. Perché l’aggettivo “storica”? Perché per la prima volta viene applicata ai colpevoli l’aggravante dei metodi mafiosi: dunque in questo caso si è trattato sì di estorsione, ma con l’aggravante dei metodi mafiosi. Non commessa da delinquenti qualunque, ma da mafiosi. Quindi, contrariamente a quanto è successo in passato, quando fior di indagini (come “l’Operazione Lenzuolo”) non avevano ottenuto dal collegio giudicante il riconoscimento del  vincolo di associazione mafiosa (416 bis), per la prima volta nella storia valdostana abbiamo la dimostrazione giuridica dell’esistenza di metodi mafiosi. Non siamo ancora alla certificazione dell’associazione ‘ndranghetista, ma siamo ampiamente oltre la metà della strada. Questa non è più un’impressione, un’opinione, una sensazione, ma è la sentenza di un tribunale della Repubblica: è un fatto giuridicamente accertato. Una vittoria di investigatori tenaci, instancabili, spesso reputati solo ostinati. Per chi una sconfitta storica? Per la sonnolenta società valdostana, trovatasi impreparata al pericolo perché nutrita, per un trentennio abbondante, della disastrosa concezione unionista della cultura identitaria di tipo linguistico. In base a questa teoria l’integrazione di chi viene da fuori, come ad esempio la numerosissima rappresentanza calabrese, avviene solo sulla base di criteri pseudo culturali di tipo linguistico. Peccato che la cittadinanza etnico-linguistica  non comprenda né l’educazione alla legalità né i diritti/doveri di cittadinanza. Secondo sconfitto: il pregiudizio localista tipico del Nord Italia, di natura  sottilmente xenofoba, che vive sulla presunzione – folle e anche molto stupida – dell’intangibilità del proprio territorio: le mafie sono un fenomeno solo del Sud, qui da noi non possono attecchire. (roberto mancini)