E’ ufficiale: le vacche grasse sono dimagrite al punto tale che non potremo più mungerle come prima. Lo dice l’Union tramite il suo sito internet: “A questo punto, diventa anche inutile appellarsi alla crisi e bisognerà prendere rapidamente e lucidamente atto che ci si trova di fronte a una definitiva, radicale e irreversibile modificazione del sistema economico e sociale al quale eravamo abituati”. Grazie ce ne eravamo accorti. La cosa che fa girare le palle è che, come sempre, la causa di questo declino di ricchezza debba essere imputato allo Stato. Un capro espiatorio che somma in sé tutta la responsabilità della politica regionale, vera causa del disastro economico valdostano. “Queste progressive riduzioni non sono però frutto di una cattiva gestione della Regione, bensì delle continue trasfusioni finanziarie che la Valle d’Aosta, così come le altre realtà regionali, è stata costretta a fare a favore dello Stato”. Roma cattiva e ladrona sempre, Valle d’Aosta esempio di virtù e saggezza amministrativa. La stragrande maggioranza del bilancio è sempre stata usata, anche in tempi di vacche grasse, per coprire le spese correnti, solo una minima parte veniva destinata agli investimenti e questo a causa di una visione miope e clientelare della politica. Acquisti inutili, assunzioni non necessarie, sprechi spaventosi… ci hanno accompagnati lungo questi trent’anni di lusso. Si è sempre pensato a consolidare il potere più che allo sviluppo economico; al controllo capillare più che alla libertà imprenditiva e adesso, parassiti quali siamo sempre stati, ce la prendiamo con chi ci ha abbondantemente foraggiati, reo di non poterlo più fare. Beh, se è questa l’analisi facilona, irresponsabile, idiota che i nostri politici unionisti sanno fare: è colpa dello Stato, c’è da disperare per il futuro.
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Il futuro che non c’è
5 novembre 2014Coerenza e libertà
5 dicembre 2012Il figlio Viérin dice che ha dato le dimissioni perché in “crisi umana prima di tutto, e politica poi, con il proprio sentire, con il proprio agire e con la propria libertà.” Difficile contestargli questo diritto. Altrettanto difficile però è credere che questo suo attuale stato sia totalmente estraneo a una lotta di potere interno. Il suo partito Laurent lo definisce “la grande famille unioniste” e qui cade in trappola. Cos’è infatti una famiglia? Un cerchio ristretto di interessi e affetti più o meno reciproci. E’ un gruppo sociale che vive nel privato e non nel pubblico. Il pubblico sta fuori. I panni sporchi si lavano in casa. Di famiglie è composta la galassia mafiosa. Un’entità politica non può essere mai paragonata a una famiglia perché ne è l’opposto. Farlo significa avere della politica un’idea corrotta, più conforme agli interessi di un gruppo ben preciso che a quello di un’intera comunità. Essersi battuto, aver lavorato per la “grande famiglia unionista”, come dice di aver fatto lui, è la confessione della sua complicità in quegli interessi che oggi nega. Proprio per questo la sua confessione risulta poco sincera o sincera a metà. Posso riconoscere la frustrazione di chi si sente in minoranza, posso capire il peso dell’oppressione di una dittatura interna, ma l’apertura tardiva verso “un modo vecchio di fare e concepire la politica” risulta più che una reale consapevolezza un inseguire la moda corrente. In fondo il figlio Viérin è contraddittorio come Rollandin che accusa Monti di centralismo. Quando mai l’assessore dimissionario ha dato spazio al dialogo con i cittadini? “Ascoltato con umiltà le istanze dei valdostani?“. E le sue scelte non sono sempre state calate dall’alto? Come ho scritto all’inizio non voglio mettere in dubbio l’eventuale sincerità di una crisi umana e politica di Laurent Viérin a cui però consiglio di aggiungere alle sue anche le tre domande poste qui sopra.
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