Il giornalista della Stampa, Enrico Martinet, trova inadeguato il Consiglio regionale, perché il confronto al suo interno è stato trasferito su internet. La stessa sorte ha contagiato i partiti. Sono d’accordo sulla inadeguatezza diffusa, ma escludo la responsabilità del web: è il Consiglio regionale e così i partiti che lo rappresentano, a essere inadeguati. (I politici usano il web a titolo autoreferenziale, come strumento di marketing, infatti molti di loro abbandonano internet subito dopo le elezioni per poi riutilizzarlo nella successiva campagna elettorale). Il muro di incomunicabilità fra la politica e il cittadino non aumenta a causa di una realtà filtrata dalla tecnologia, come sostiene Martinet, piuttosto i luoghi della politica sono resi inutili a causa del pessimo uso della politica che si è fatto finora. Un esempio: la nuova commissione antimafia. A chi importa? Non al cittadino che non crede a una virgola delle buone intenzioni di un presidente beccato a dare suggerimenti di voto, importa ai consiglieri tutti quanti, perché tale commissione inutile fa parte del teatrino che giustifica il loro ruolo e il loro stipendio. Il linguaggio del Web è un idioma che i politici non capiscono né sanno usare altro che nickname! mentre è usatissimo fra i giovani che dentro a quel codice ci sono nati e cresciuti. Gli indignati spagnoli e greci e italiani e inglesi e francesi, i rivoluzionari del Cairo e di Tripoli e di Damasco, pur nella loro specificità, parlano una lingua comune. I social network si sono rivelati una potente arma di opinione e di aggregazione popolare. Mentre gli inadeguati politici, ancora arroccati ai loro grandi privilegi di casta, ai loro ruoli rinsecchiti e ormai patetici, non hanno capito che c’è in atto una rivoluzione culturale ampia e pacifica che vola sulle ali del web: un brodo di coltura batterico che coltiva i germi di una nuova pandemia, la voglia di riprendersi la democrazia confiscata dalle élite della globalizzazione.
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7 marzo 2012I gerontocrazi si estingueranno mai?
9 novembre 2011Il sasso ha generato cerchi, non così numerosi come avrei desiderato. Le posizioni sono sostanzialmente tre. Quella del signor Pascale che difende la necessità di un’organizzazione per dare forma alle idee, quella del signor Bruscia che difende la bontà del suo partito, il PD, quella dei disillusi che vedono nella partitocrazia un male da estirpare. Tutti questi punti di vista sono legittimi. La difficoltà consiste nel trovare una soluzione per far convergere in un punto le diversità. Una prima base di partenza è dimostrare tolleranza verso coloro che sono stanchi, che hanno smesso di votare, che sono disgustati dalla politica (una bella fetta di torta elettorale). Il frettoloso giudizio di superficialità e qualunquismo che spesso esce dalle bocche dei vari politici a sinistra, non aiuta a comprendere i motivi di questo malessere, anzi li esaspera. Come si è comportata la politica ultimamente? Non basta mostrarsi alle telecamere, spalando il fango per dichiararsi diversi (oltretutto ricorda altra pessima propaganda). Occorre, come dice giustamente il signor Dzei, mettere in piedi una serie di strumenti che possano creare quella democrazia partecipata che tutti auspicano e che nessuno vuole. Federalismo e referendum propositivi senza quorum, ad esempio. Una riduzione sensibile degli stipendi degli eletti, mandati a tempo determinato, eliminazione dei benefit e dei vitalizi, elezione diretta dei rappresentanti ecc ecc. Questi sono i segni che potrebbero essere significativi per dimostrare un reale cambiamento. Abbiamo appreso di recente che alla Camera la proposta sostenuta dal deputato, Antonio Borghesi (IdV), di abolire il vitalizio dei parlamentari dopo cinque anni di mandato effettivo (da un minimo di 2.486 euro a un massimo di 7.460, il triplo dei colleghi europei), solo 22 persone si sono dette a favore, 498 hanno votato contro (compreso il nostro Roberto Nicco). Come si può, dunque, criticare chi sostiene che sono tutti uguali? Non c’è forse una responsabilità tutta politica in questa crepa che si è generata fra la cosidetta casta e il Paese reale? Non sarebbe più opportuno ascoltare la confusione, l’insicurezza, l’incazzatura di questi indignati apartitici che sanno comunque generare un movimento di opinione? Non sarebbe più opportuno cominciare a farsi da parte per lasciare lo spazio alle nuove generazioni, accettando anche i rischi che questo comporta? (Dopotutto i vecchi politici non è che ci hanno lasciato il paradiso). Trincerarsi nelle proprie sicurezze, come fa la vecchia classe politica, è segno di grande debolezza
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