Sono stata alla mostra: Omaggio a Franco Balan, perché presa da nostalgia verso quell’uomo e amico. Mostra sobria che dichiara l’assenza di fondi, ma i manifesti sono belli e i dodici personaggi valdostani sempre molto piacevoli da vedere. Mi stupisce che non ci sia stata nessuna inaugurazione. Questione di risparmio? Fosse questo il motivo sarebbe stato sufficiente non offrire l’aperitivo, ma risparmiare sulle parole che senso ha? Trovo desolante questo modo di trattare una persona come Franco, un artista che ha lasciato un’impronta così forte in Valle d’Aosta. Ma questa approssimazione, questo muoversi alla chetichella, sono coerenti con il pensiero dominante che non crede a niente e a nessuno al di fuori di se stesso. E’ il “fare per fare”, senza la necessaria cura che è sempre frutto di una passione. Senza la necessaria organizzazione che è sempre frutto di un obiettivo. L’assenza totale di passioni e di obiettivi caratterizza il nostro tessuto connettivo. Quel mettere tutto sullo stesso piano che è poi quello del favore, del contentino, del ritorno in termini di consenso, ha azzerato la tensione verso la qualità. E quindi verso il piacere. Fare, senza il piacere del fare, diventa così un automatismo deprivato di qualsiasi investimento emotivo. La mostra espone le opere, i manifesti dell’unico grafico locale che ha saputo creare una cifra personale intrecciata con la tradizione del territorio. Il primo omaggio che la collettività attribuisce a Franco Balan è avaro di parole, di emozioni, di ricordi, di amore. Siamo un popolo senza Stato o senza cuore?
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Senza cuore
21 dicembre 2014Siamo fessi!
3 dicembre 2012La scritta orrenda che insulta il nostro monumento più bello fa il paio con la mostra Sveart: nessuna cultura sfiora questi luoghi, nessun rispetto. Sono andata a Saint-Vincent per conoscere la manifestazione che dovrebbe, come dice uno dei curatori, Paolo Levi, “rottamare” la Biennale di Venezia. La location è squallida: il palazzo dei Congressi. Due grandi stanze una sopra l’altra unite da una scala condominiale in marmetto bianco e divise dal piano con le toilettes. L’ingresso alle opere è caratterizato da una tenda rossa che sembra quella del salotto della nonna. L’allestimento è il più povero che abbia mai visto negli ultimi anni. Pannelli di truciolato verniciati di bianco. Chiodi. Nessuna scritta, nessun intervento ad hoc per questa o quell’opera. I video non sono protetti dalla luce diffusa pertanto non si vedono. (E non è grave.). Quando il giornalista, nell’intervista all’altro curatore, affronta la voce costi, il prof. Faloppa cita proprio l’allestimento come un elemento importante della spesa. E sono balle! Per entrare nel merito posso dire che le opere dei giovani artisti sono convenzionali e non presentano niente di interessante o di commovente. Non è certo questa manifestazione che può tastare il polso dell’arte contemporanea europea come ci hanno voluto far credere i curatori. (Anche loro come i nostri politici ci prendono per fessi!). Come ho già scritto, si tratta unicamente di un’operazione per far soldi. E neppure in questo caso si può definire unica.
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