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La ‘ndrangheta c’è! (3° parte)

20 gennaio 2014

La famiglia Raso?
Nella sentenza di primo grado essa viene così delineata a pag 188:
“Tra i detti fiancheggiatori ( della cosca Facchineri, ndr) vi sono i Raso, il cui capostipite Raso Domenico ,detto “Micu Zuccaro”, è stato coinvolto in varie vicende giudiziarie e sottoposto ad indagini per vari reati e, soprattutto, nel procedimento penale della D.D.A. di Reggio Calabria a carico del noto latitante Luigi Facchineri + 11, per il delitto di associazione di tipo mafioso in relazione al quale è stato colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere. Anche i figli Vincenzo, Michele e Salvatore sono indicati dai militari dell’Arma di San Giorgio Morgeto quali persone inserite nella cosca “Facchineri”. Nell’annotazione citata si legge anche: “Nell’ambito delle indagini sull’esistenza del Locale della ‘ndrangheta in Aosta, (Operazione Lenzuolo, ndr) il Raso era persona di estremo interesse operativo e braccio destro del capo dell’epoca Santo Pansera. Alla morte di quest’ultimo, fonti informative hanno riferito che il Raso è attualmente il capo della consorteria anche e soprattutto per i legami di parentela anzidetti”. Raso Michele, nel 1985 denunciato in stato di libertà per omicidio doloso e per associazione di stampo mafioso, sino all’avvento della nuova cosca operante nel territorio di San Giorgio Morgeto cioè quella “Facchineri”, era inserito a pieno titolo nella cosca “Furfaro”, con a capo Furfaro Antonio, assassinato nel 1991.”.
Con questo back-ground quando Salvatore Raso viene assassinato il 17 settembre 2101 in san Giorgio Morgeto, gli inquirenti fanno una scoperta: “…ad opera dei militari di Taurianova veniva anche eseguita una perquisizione presso l’abitazione della vittima, durante la quale era rinvenuto e sequestrato un manuale di 21 pagine, contenente la descrizione di alcuni riti di affiliazione alla ndrangheta dal titolo “i codici sociali minore, maggiore e criminale” (pag 33). (continua) roberto mancini


Tenere conto

2 ottobre 2013

libro

Il tredici di settembre ricevetti dal legale della società Co.S.Pe.F del signor Antonio Furfaro, una intimazione a cancellare il mio post: “Gli indifferenti” in quanto difammatorio nei confronti del suo assistito. Secondo l’avvocato, Giorgio Torrigino, in quell’articolo avrei linkato articoli non veritieri sull’imprenditore. Gli risposi che la mia non era l’intenzione di chi vuole arrecare danno a qualcuno, ma quella doverosa di informare l’amministrazione sul conto di un imprenditore sul quale fioccano numerosi articoli che ne disegnano un ritratto non del tutto immacolato. Io ho semplicemente invitato alla prudenza. A Genova c’è una Onlus la Casa della Legalità che ha numerose informazioni sulla Co.S.Pe.F e non credo che i volontari si divertano a presentare esposti per il solo piacere di farlo. Neppure i giornalisti del Secolo XIX, Marco Grasso e Matteo Indice, autori del libro sulla ‘ndrangheta ligure: “A meglia parola”, pubblicato nel maggio 2013 dalla casa editrice De Ferrari, vorranno mettere a repentaglio la loro professionalità scrivendo e divulgando il falso. Dunque è su queste fonti che io ho tratto le mie informazioni. Durante il Consiglio comunale di Saint-Vincent è emerso che la gara d’appalto vinta da Furfaro è stata condotta in tutta regolarità: meglio per il Comune e meglio per l’imprenditore. Ma è bene ricordare ciò che scrivono i due giornalisti: “Che c’è un altro contesto, però, in cui il nome dell’impresario che lavora «per cambiare i soldi» viene accostato a tutt’altro ambiente. Nel 2001 i carabinieri del Ros licenziano un primo, dettagliato rapporto sulla criminalità organizzata genovese, in cui definiscono Antonio Furfaro fedelissimo del vecchio boss Antonio Rampino. E a parlarne sono due dei 40 indagati (il fascicolo in mano ad Anna Canepa – oggi magistrato della procura nazionale antima­fia, allora pm a Genova – verrà poi archiviato): Giuseppe Savoca, detto Pino u Barberi, e Francesco Barbuto. Stanno cercando di introdursi in un appalto da sei miliardi di lire a Busalla e obbligare la “Oasi srl”, in particolare il direttore dei lavori Umberto Tota, a versare una tangente. Dalla conversazione si capiscono due cose. Primo, Savoca non sopporta i “genovesi”, e in particolare Mimmo Gangemi: «Mi ha mai dato qualcosa quando ero in galera? Tu comandi solo su pa­tate e cipolle – grida intercettato, come se si rivolgesse generica­mente proprio a Gangemi – e io a Busalla vengo, cago e piscio quando voglio». Secondo, per dimostrare la sua risolutezza, Sa­voca cita il caso di Antonio Furfaro, artigiano che prima del suo arrivo nessuno aveva avuto il fegato di «toccare», perché «legato a Rampino». Furfaro non c’entra nell’appalto di Busalla, ma per gli inqui­renti quel dialogo dimostra la sua vicinanza al leader della ‘ndrangheta. Un rapporto di cui nessuno gli ha più chiesto conto quando, negli anni successivi, ha continuato a ottenere commesse pubbliche.” Ecco, è quel “tenere conto” che va ogni volta sottolineato, soprattutto quando si tratta di amministrazione pubblica e che invece viene troppo spesso messo da parte. Se poi nel frattempo c’è stata una salutare presa di distanza, molto meglio.

Gli indifferenti

13 agosto 2013

La ‘ndrangheta striscia silente e senza fare rumore,… allaccia rapporti con le imprese locali e molto lentamente le svuota e se ne appropria.” Così scrive il procuratore antimafia, Nicola Gratteri, nel suo libro Dire e non dire. E ancora “E se oggi spara meno è perché ha meno bisogno di farlo, potendo contare su una maggiore rete di professionisti, politici, imprenditori… un sistema di relazioni che le permette di infiltrarsi e radicarsi in tanti territori del Paese, anche quelli non tradizionalmente interessati dal fenomeno criminale.” Ecco, il nostro territorio non ha tradizione di mafia (?), ma è da decenni che il fenomeno si è incistato. Una cisti profonda, poco visibile anche se a toccarla si percepisce eccome. Il procuratore Giovanni Selis l’aveva toccata ed è saltato in aria (la prima autobomba italiana). Oggi spacciarsi immuni dal contagio è più difficile: incendi dolosi, estorsioni, intimidazioni, riciclaggio e usura ci raccontano un’altra storia. Raccontano di una ragnatela criminale che avvolge la Valle d’Aosta insieme alle altre regioni del nord: il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, L’Emilia Romagna. Il buon senso invita a stare in guardia, ma i nostri politici non sono dotati di buon senso. Ecco cosa è successo nel Comune di Saint-Vincent. Nel mese di luglio è stato appaltato l’allargamento delle piste da sci al Col di Joux, aggiudicatario il raggruppamento temporaneo d’imprese formato da Cospef e Alloro. Il criterio è stato quello del massimo ribasso, quasi il 20%. Sconti troppo alti non possono che essere sospetti, infatti la ditta che li applica può permettersi di lavorare in perdita o risparmiare sul lavoro o sulle qualità dei materiali. L’amministratore delegato della Cospef è il calabrese Antonio Furfaro (in contatto con i Mamone, imprenditori coinvolti nell’inchiesta Pandora e con Ferdinando Gullace, imprenditore interdetto nell’ambito dell’indagine Entourage), è lui stesso a dire che partecipa alle gare con ribassi spaventosi perché non gli serve per guadagnare, ma solo per cambiare i soldi! Su questo imprenditore, già procuratore di una società valdostana: la Tour ronde, starebbe indagando la Direzione investigativa antimafia. Il sindaco di Saint-Vincent, Adalberto Perosino (Gradi di istruzione: non inserito – Categoria professionale: esercente di Alberghi, Ristoranti e Assimilati), non ha nulla da dire. Uguale a molti altri amministratori non sa. Forse. Pare che qualcuno lo abbia informato, ma che lui abbia fatto spallucce. Si sottovaluta il problema. Si minimizza. Eppure i segnali che dimostrano che anche in Valle il pericolo ‘ndrangheta esiste ci sono. La sentenza “Tempus venit” dovrebbe aprire gli occhi. Ma le amministrazioni sono cieche o non sanno leggere il proprio territorio e quindi non sanno difenderlo da una eventuale infiltrazione criminale. Ad Aosta il sindaco Bruno Giordano ha patrocinato e dato contributi alla Festa dei calabresi, nonostante il  presidente, Giuseppe Tropiano, sia stato condannato in primo grado per favoreggiamento con la ‘ndrangheta. Il parroco di Saint-Martin-de-Corléans, don Albino, ospita il Comitato organizzatore della suddetta manifestazione e le due statue dei santi Giorgio e Giacomo. Il parroco del quartiere Dora, don Danna, accoglie invece la Madonna di Polsi, quella che benedice gli ‘ndranghetisti. Il vescovo, disattento, tace. Si fa però sentire il Corriere della Valle, scandalizzato dall’uso di un altare sconsacrato in una gelateria! Scrive Giuseppe Gennari, giudice per le indagini preliminari di Milano: “L’impresa mafiosa ha raggiunto un preoccupante livello di accettazione sociale e questo atteggiamento della società non fa che accrescere la forza economica, il prestigio, il tessuto di omertà e perciò il potere dell’impresa mafiosa”. L’indifferenza è un’arma più efficace della lupara.