Passare accanto alle macerie della ex caserma Testafochi è un colpo al cuore. Quei mattoni, quella calce erano impastati della storia della nostra città. Città di alpi e di alpini. L’architetto che ha messo al mondo il progetto millefoglie della futura università e che ha ridisegnato il tessuto urbano, non possiede la nostra memoria storica e giustamente se ne fotte. Ma gli amministratori no, non dovevano fottersene. Invece cancellano. La città se ne va via con le ruspe, sparisce con le gru e l’identità collettiva segue la via del cemento. E non è una nuova classe dirigente aggressiva e affamata e smemorata che genera lo squallore contemporaneo; sono i vecchi, quelli che la memoria ce l’hanno e che dovrebbero preservare per le generazioni future. Ma la loro città non è figlia della storia, piuttosto è figlia della cabina elettorale. Totale disamore. Squisito interesse. Questi mediocri impiegati di una democrazia rabberciata che vuoi che se ne facciano della memoria di una città? Eppure senza, un luogo si svuota di contenuto diventa terra di scontenti. Come lo sono i nostri giovani.
Archive for the ‘Architettura’ category
Bandiera bianca
7 aprile 2015E se non nevica?
8 dicembre 2014Leggo sul Sole 24Ore che il Museo delle Scienze di Trento è diventato uno dei dieci musei più visitati d’Italia. In poco più di un anno è stato frequentato da oltre settecentomila persone. Trento è una città piccola e autonoma con una Università storica, un’identità chiara, un turismo vivace e di qualità. E’ una città bella e curata che investe in cultura. Il festival dell’Economia attrae migliaia di curiosi e l’attenzione dei media, grazie alla cura e all’ottima selezione degli ospiti e degli argomenti. Ora il nuovo Museo progettato da Renzo Piano offre nuova linfa alla comunità. Nel 1988 vi lavoravano 24 dipendenti, oggi ce ne sono 120, tutti giovani e molti laureati. “Secondo stime prudenziali, dall’apertura ha generato un impatto economico nel territorio provinciale di oltre cinquanta milioni di euro.”. Il confronto con la nostra città è impietoso. Noi abbiamo l’ardire di presentarla come Città europea della Cultura senza uno straccio di niente da offrire se non un brutto logo. Perché in realtà noi non vogliamo offrire niente! Come ho già più volte detto: i turisti siamo noi, tutto ruota intorno a noi salvo qualche eccezione che, appunto, conferma la regola. Aprirsi significa perdere il controllo o perlomeno, renderlo più faticoso e insicuro. Meglio “fare le cose tra di noi” e per noi. E così eccoci con una Porta Pretoria devastata, ma che ha dato soldi agli impresari locali che gradiscono e sanno chi votare. Con un Museo archeologico che è un nano quando potrebbe diventare gigante. Un Forte di Bard che si barcamena e sopravvive grazie alle trasfusioni pubbliche e così per tutti gli altri musei, quei pochi che abbiamo. Per forza, la gestione clientelare, tipica di un sistema mafioso, non favorisce l’economia e lo sviluppo, anzi lo frena, lo domina. Secondo il Piano di Marketing Strategico della Valle d’Aosta i prodotti star ruotano tutti intorno allo sci e alle montagne. Non una voce che includa i Beni culturali eppure ne abbiamo e non sono secondari a nessuno. Lo stesso Sovrintendente disse, in occasione di una conferenza stampa sul Bimillenario della morte di Augusto, che dal punto di vista dell’offerta turistica l’archeologia romana era da considerarsi come un semplice corollario della montagna. Non ne abbiamo dubbi è così, ma è follia! Giusto per farvi capire con quali dementi abbiamo a che fare: tra i prodotti star c’è anche il volo libero, peccato che l’aeroporto lo hanno fortemente voluto commerciale nonostante le proteste dell’Aeroclub, se ancora non lo è diventato è solo per la stupidità e l’incapacità di chi ci governa. Siamo o non siamo pazzi?
Una cagata pazzesca!
20 novembre 2014L’architetta buonanima, Gae Aulenti, per la stazione aeroportuale si era ispirata ai merli dei nostri castelli, progetto decapitato di un piano e svilito nel suo complesso. L’architetto, Mario Cucinella, per l’Università si è invece ispirato ai ghiacciai, alla loro suggestiva stratificazione (in un altro progetto simile si era lasciato orientare dalla sinuosità delle dune). Il nostrano architetto buonanima, De Bernardi, per la piazza Narbonne si era lasciato influenzare dai quattro elementi della natura: acqua, aria, terra e fuoco, uno dei quali: l’acqua è stato successivamente sostituito con la terra a causa di un difetto di impermeabilizzazione. Non ricordo invece a cosa si sia rivolto l’architetto Bruno per progettare la piazza Severino Caveri, sicuramente a un incubo. Prendiamoci il coraggio fantozziano e diciamo che tutti questi progetti sono una CAGATA PAZZESCA! Ma quali ghiacciai, fuochi e fiamme, torri e merletti, questi si sono divertiti nelle citazioni e negli scarabocchi e noi dobbiamo convivere con dei mostri succhiasoldi! Provate a immaginare la torta mille foglie quando sarà sporca che meraviglia! L’unica speranza è che i soldi per questo ennesimo schifo non ci siano: la povertà a volte può trasformarsi in fortuna o perlomeno in una opportunità.
Sorpresa!
21 ottobre 2014Riceviamo dal signor Pierlucio Pellissier e volentieri pubblichiamo.
Ieri mi sono imbattuto nell’ennesimo esempio di “in”comunicazione made in VdA. Qualcuno puo’ spiegarmi il nesso tra il cartellone del progetto di restauro della Maison Lostan e il circondario? A parte il disegno dell’elevazione, bello, non c’è scala, non c’è orientamento, stiamo parlando dei quale facciata est, ovest, sud, nord? C,e una pianta schematica per orientarsi? Due turisti mi hanno chiesto spiegazioni e malgrado tutto non sono stato in grado di racapezzarmi e di trovare un nesso tra il progetto e il costruito circostante. Bell’esempio di comunicazione, bravi!
La grande bruttezza 8
28 settembre 2014Con gli orti la gente scendeva da casa e comunicava. Ora non lo fa più, certo la televisione ha dato il suo contributo all’isolamento, ma io sono certa che se gli orti fossero rimasti a testimoniare un passato di buona urbanizzazione, conservando la loro utilità di collante sociale, oggi gli abitanti sarebbero ancora lì, a piantare insalata e fagiolini… e le tensioni sarebbero meno forti.
La grande bruttezza 7
28 settembre 2014L’assessore Follien è particolamente attento alla salute dei suoi concittadini: taglia gli alberi perché teme che questi possano cadere sulla testa di qualcuno. Grande sensibilità. Però non abbassa mai la testa e non vede che i pericoli più presenti non stanno fra le chione, ma fra i sassi. La pavimentazione del quartiere Cogne è a onde. Spesso le mattonelle escono dal loro alveo e creano simpatici scalini non sempre visibili, cadere è un attimo. Rompersi un piede un attimo dopo. Chiedo a Follien: quante denunce registra il Comune per cadute di questo tipo? E quante altre per rami che cadono sulla testa? Sono certa che le prime sono assai più numerose, quindi il buon senso gli consiglierebbe di investire i soldi là dove avvengono più danni.
La grande bruttezza 5
27 settembre 2014Lungo questa via c’era una bella fila di tigli da ambo i lati, la strada era più bella e l’ombra aiutava a sopportare la calura estiva. Oggi gli alberi sono stati abbattuti, guardate che desolazione è rimasta. Fortuna che nell’altro lato i tigli sono stati sostituiti.
La grande bruttezza 4
26 settembre 2014
I tigli rimasti sono potati con brutalità. Una metodologia che facilita le malattie e l’insorgere di funghi, meglio così… poi hanno la scusa per abbatterli. Al Comune gli alberi ci stanno sui coglioni.
Nel Quartiere Cogne i tigli avevano un ruolo molto importante: davano ombra e ossigeno e rendevano belle le strade. Poi ci fu il restauro degli immobili e degli spazi e molti di essi furono tagliati per dare luogo ai parcheggi che non danno ombra, non danno ossigeno e non rendono belle le strade. Sui tigli i bambini si facevano le capanne, tra le auto in sosta oggi i ragazzi si fumano le canne. I tempi cambiano, ma perché in peggio?
La grande bruttezza 2
25 settembre 2014Il Quartiere Cogne è di proprietà del Comune di Aosta, voluto così da un’amministrazione ignorante e incapace di vedere il futuro. Oggi avrebbe potuto essere un esempio di urbanizzazione storica da inserire nei dépliants turistici. Un quartiere residenziale con gli orti quanti ne sono rimasti? Pochi. Dunque, sarebbe stato il fiore all’occhiello di un passato industriale. Un passato estremamente importante per la storia di Aosta. Cosa è rimasto? Questa desolazione.
La grande bruttezza!
24 settembre 2014C’era una volta un quartiere, esempio di urbanizzazione sociale. C’erano le case e gli orti e i negozi. La scuola e la chiesa. Stava lontano dalla città per meglio controllare gli operai e la loro rabbia. Stava anche lontano dalla fabbrica, ma c’erano le biciclette e tutti avevano una bicicletta. Un paese ordinato. Un modello di architettura popolare che aiutava chi lo viveva a sentirsi parte di una comunità. Il quartiere aveva un’identità chiara e definita. Diviso per gerarchie sociali, rappresentava la fabbrica. Oggi rappresenta solo il degrado di una società priva di una qualsiasi identificazione. Gli orti sono stati sostituiti dai parcheggi, i tigli abbattuti. San Giuseppe, patrono dei lavoratori, sepolto e abbandonato. La società cambia, ma sta agli uomini controllarne il cambiamento, fornire un indirizzo, una direzione del vivere. Nessun modello ha sostituito quello precedente. Se nell’urbanizzazione dei primi del ‘900 c’era un progetto attento alle necessità degli abitanti: gli orti per permettere agli operai ex contadini una valvola di sfogo, oggi si è soltanto cercato di risolvere il problema abitativo senza pensare alle conseguenze che determinate scelte potessero avere sulla vita dei condomini. Il risultato è questa desolazione. L’assenza di una condivisione comunitaria di un territorio.
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