Sotto il segno del Leone
Di Roberto Mancini.
Per anni mi sono arrovellato: perché la Sinistra non capiva che la difesa del francese era una sofisticata strategia politica? Un geniale strumento non per includere i cittadini, ma per escluderli?
Un marchio identitario, per creare divisione? Un muro di Carema, mascherato da “carrefour”?
Il recente libro dello storico Andrea Désandré. “Sotto il segno del Leone”, genesi dell’autonomia valdostana 1945-1949”, ricostruisce con minuzia le ragioni politiche, le tappe e gli strumenti della costruzione di un “movimento indigenista”, inteso a creare un “piccolo mondo antico basato sul culto degli antenati, l’incanto paesaggistico e la mistica agro-pastorale” (cit).
Pagine memorabili.
“Elogiare, in francese, l’uomo della terra e il paesaggio che lo circonda, quasi vi fosse un stretta correlazione fra l’incanto estetico della natura e la moralità di chi in essa e di essa vive, è il modo più efficace per parlare, senza parlarne, del loro contrario, ossia del proletariato industriale, l’italofono perturbatore della società tradizionale, e della grigia fabbrica o dell’oscura miniera in cui questi consuma la propria quotidianità, antitesi perfetta del salubre lavoro all’aria aperta a cui corrisponde un’ analoga salute morale.
Le impareggiabili virtù contadine in filigrana condannano i pretesi vizi operai, il sano e robusto “agricoltore di stampo antico”, modello insuperabile di sobrietà, operosità, responsabilità, moderazione, devozione e deferenza, allude costantemente al contromodello operaio che incarna l’universo di tali qualità:
persino la celebrata povertà agreste mira a stigmatizzare il corrispettivo urbano: la miseria contadina, poetica, isolata ed inoffensiva, è una benedizione divina, generatrice di rassegnazione, umiltà, modestia, semplicità ecc…quella proletaria, collettiva ed organizzata, è invece un piaga sociale temibilissima……
Sempre, nei conflitti linguistici, la posta in gioco è il rovesciamento “des rapports de domination symboliques et de la hiérarchie des valeurs attachés aux langues concurrentes”, qui l’italiano ed il francese.
Il primo è in Valle la voce dell’aborrita modernità, la lingua dell’industria, dell’immigrazione, degli scioperi, dell’insubordinazione sociale, delle ideologie livellatrici, della supponenza burocratica, dei funzionari “colonizzatori”, della radio, del cinema, della bestemmie;
il secondo è l’eco di un mitizzato mondo di ieri minacciato dall’oggi, la lingua della terra, del villaggio, del campanile, della scuola rurale, dei canti popolari, dei vecchi giornali, delle preghiere, del curato di campagna e del notabile di città.
Da qui l’esigenza di veicolare i rudimenti linguistici attraverso contenuti ed immagini strettamente correlati alla lingua di padri, appunto il contado e il contadino ideali”.
Tag: Andrea Désandré, Dopoguerra, Letteratura, Lingua francese, Sotto il segno del Leone, Storia valdostana, Union Valdotaine, Valle d'Aosta
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5 Maggio 2015 a 20:30
Quanto scritto poteva essere vero in quegli anni e forse fino agli anni ’70, e poi per l’alta Valle e per le Valli laterali. In bassa valle la classe operaia era gran parte formata, salvo che nei suoi 2 centri principali, da contadini operai che non avrebbero potuto vivere esclusivamente del lavoro della campagna.
Ormai tutto questo è superato dalla realtà dei fatti. Anche i contadini rimasti non sono più puri, badano al reddito ricavato dal loro lavoro, altrimenti preferiscono chiudere le loro aziende. Se ci guardiamo indietro, in ogni famiglia c’erano nonni contadini, ora già la maggior parte dei nostri figli non ha più nonni contadini, ma operai, impiegati, liberi professionisti, artigiani,lavoratori del terziario o del commercio. In sostanza è cambiato il tessuto sociale qua come in tutto il resto d’Italia.
La realtà è che eravamo una società chiusa e tutto quanto diverso veniva percepito come una minaccia. La stessa cosa succede ora con gli extracomunitari, allora succedeva con i meridionali e persino con i veneti e i lombardi.
5 Maggio 2015 a 20:39
Bisognerebbe spiegarlo a chi vara la linea politica dell’UNION VALDOTAINE e al Comité Federal…!
Oggi, calabresi, veneti,lombardi ed in ultimo anche extracomunitari fanno parte della lista unionista alle elezioni..!Pertanto.
5 Maggio 2015 a 22:59
Signora Anna,
il libro si riferisce anche nel titolo ad un periodo storico ormai remoto, sennò non tratterebbe di storia.
Ma non è detto che l’ideologia prodotta in quel periodo, grazie al pensiero dell’Abbé Treves e del canonico Brean, abbia esaurito la sua “spinta propulsiva”.
In ogni caso ha funzionato per circa 50 anni, il che non mi sembra piccolo risultato.
Non essersi opposti a quella melassa di presunta Arcadia montanara, ha annullato le culture politiche non localiste.
5 Maggio 2015 a 23:05
Il libro di Desandré è molto interessante, ma di pagine ‘memorabili’ non ne ho lette, a dir la verità. La vicenda del ‘presidio’ partigian-repubblichino a difesa dai francesi, ad esempio, è cosa cognita e la si può leggere persino sul sito della Regione. Questo, ovviamente, non toglie meriti a Desandré, che ha scritto verità.