Copiare si può!


Pubblico il commento di Piera sulla scuola multilingue.

Vi invito a leggere la sperimentazione trilingue di Trento partito quet’anno ( a regime per 5 anni ). Nessuna strana alchimia tranne molta professionalità e chiarezza nella stesura del “Piano”. Progetto che parte dal “nido” ( non scherzo!) alle scuole superiori con programmi in itinere condivisi da tutte le scuole del territorio. Il progetto prevede ovviamente anche la formazione degli insegnanti ( per 5 anni!). Le lingue straniere (tedesco e inglese) entrano gradualmente nel curricolo degli allievi. Per la scuola dell’infanzia il piano prevede in tutte le scuole almeno 4 ore settimanali di esposizione linguistica di ciascun bambino in almeno una lingua tra tedesco e inglese. Per la scuola elementare nella maggior parte dei piani di studio l’insegnamento di lingue prevede in 1° e 2° elementare 2 ore di inglese o di tedesco. Dalla 3° elementare 2 ore di tedesco e 2 ore di inglese.

Il piano prevede in tutte le classi 1° e 2° l’aggiunta di 3 ore settimanali in CLIL (insegnamento veicolare) in inglese o in tedesco. Dalla 3^ elementare sono invece previste almeno 5 ore in CLIL in inglese o in tedesco. L’italiano rimane comunque la lingua veicolare per eccellenza in tutti gli organi di scuola. Nulla a che vedere con la proposta valdostana ( école en langues vda)che prevede fin dalla prima elementare 12 ore d’inglese, 13 di francese e solo 5 d’italiano!!!! I numeri parlano e si commentano da soli. La scuola attuale valdostana rimane comunque l’unica scuola bilingue in Italia ( e forse anche altrove) in un contesto sociale che bilingue non lo è affatto. Questo è il primo punto su cui iniziare una seria discussione pedagogica e didattica.

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13 commenti su “Copiare si può!”

  1. giancarlo borluzzi Says:

    Ragioniamo.

    In Trentino i cervelli non hanno la tara mentale caratterizzante gli chanousiani nostrani e consistente nel volersi fingere diversi, per cui in quella provincia all’italiano viene riservato il dovuto peso.

    Ciò detto, due critiche vanno avanzate a quanto Piera & Patuasia propongono con intento laudativo relativamente alla novità didattica nel Trentino.

    La prima critica è epidermicamente evidente: leggendo il post, si comprende che i pargoli assumono conoscenze diverse a seconda delle classi che frequentano e quando si ritrovano ad affrontare le lingue straniere nella stessa classe delle elementari sono già su piani di conoscenza diversi e questa disparità si incrementa nei primi due anni rendendo improponibile il percorso comune dal terzo anno, a meno che in terza elementare non ci siano classi italotedesche e classi italoinglesi.
    Ma in tal caso, la scuola non sarebbe trilingue, bensì bilingue alfa e bilingue beta.
    Il casotto prosegue con la veicolarità, tre ore nei primi due anni e cinque ore in terza elementare.
    Tale veicolarità può essere in inglese o tedesco, ma direi non ad libitum, ma secondo l’iter scolastico precedente.
    Il trilinguismo è riferibile alla scuola, non all’allievo, a leggere bene il post di Piera& Patuasia; per il pagolo c’è bilinguismo, non plurilinguismo.
    Attendo correzioni a quanto ho scritto.

    La seconda critica non è tecnica, come la precedente, ma sostanziale e parte da una mia esperienza di vita.
    Mia moglie ha insegnato tedesco all’IPR aostano e io mi divertivo a vedere come tanti19enni, oltre a fare errori di italiano nei testi che mia moglie dettava affinché fossero tradotti in tedesco dopo anni di studio di tale lingua, assolutamente non maneggiassero tale idioma (senza colpa di mia moglie, prima a Morgex).
    Voglio dire che le lingue sono uno strumento di comunicazione e per comunicare gli idiomi vanno conosciuti effettivamente, non bastano 4 parole incollate a scuola.
    Mia moglie era laureata in lettere moderne, prima materia l’inglese e seconda il tedesco; sovente facevamo lo scambio culturale nel senso che io parlavo a lei in inglese (i suoi studi non l’avevano portata al livello da me raggiunto viaggiando) e lei rispondeva in tedesco (la scuola non centrava, aveva soggiornato a lungo in Baviera).
    La scuola insegna poco o niente, conta l’utilizzo sul campo e quest’ultimo coincide col mondo, ove l’inglese è importante quanto saper maneggiare le posate.
    Non si va a scuola per infarinarsi in lingue, ma per apprendere un metodo e seguire le materie tradizionali, senza tic legati al fingere che ore scolastiche insufflino dimestichezza con le lingue straniere.
    In definitiva: in Trentino nessuno parla tedesco, non è l’Alto Adige; si può tentare di insegnare l’inglese dal nido, ma sarà la dinamica della vita a farlo utilizzare.
    Rido quando leggo qui sopra di “insegnanti che per 5 anni vengono linguisticamente formati”: pia illusione.

    Diamo dunque al Trentino solo il merito che gli compete: non ragiona scolasticamente con i fini che caratterizzano i localisti malati valdostani, ma quanto ha posto in essere è tecnicamente e concettualmente criticabile.

  2. giancarlo borluzzi Says:

    Pagolo = pargolo, ovviamente/obviously/offenbar.

  3. Piera Says:

    Gentile signor Borluzzi, il mio intento non era quello di dire che in Trentino siano perfetti e dei super eroi… ci manca ancora. L’imperfezione fa parte del mestiere degli insegnanti. Questo progetto (Istruzione trilingue in Trentino) viene continuamente portato come esempio dal comitato “école en langues vda”,ma a parte il titolo “trilingue”, trilingue non lo è affatto o non lo è come lo intende il comitato “ école…”o come vorrebbe che la nostra scuola diventasse. E’ semplicemente un progetto che ha come obiettivo l’aumento delle ore di/ in lingua straniera, e , partendo dal presupposto che lingue straniere sono in parte “estranee”in toto o in parte , appunto perché straniere, alla realtà delle famiglie e degli studenti, lo fanno gradualmente. Ed è anche vero che la scelta tra tedesco e inglese potrebbe creare disparità, ma a Trento non si pensa a un insegnamento paritario delle lingue straniere , esiste una prima scelta e una seconda scelta. “Copiare si può” è un titolo messo dalla “redazione” di Patuasia, non è mio, però mi piace perché copiare si deve quando le proposte sono interessanti , ma prima bisogna leggere e capire cosa si sta copiando e non fermarsi solo al titolo e pensare di aver capito tutto! Dalle dichiarazioni del comitato promotore si capisce che le analisi effettuate delle realtà prese come esempio sono superficiali, ferme al titolo e alla premessa e basta. Per concludere tutte le riflessioni fatte da chiunque, anche da chi non è del mestiere, relative all’apprendimento delle lingue sono ben accette soprattutto se si ha poi la possibilità di confrontarsi anche con tecnici, esperti e con chi lavora sul campo quotidianamente. La Scuola ha assolutamente bisogno di parlare di tutto ciò senza timori e senza pregiudizi, con rispetto dei bambini e della realtà in cui vivono, facendo tesoro delle risorse umane e finanziarie a disposizione, con uno sguardo verso il futuro, ma evitando voli pindarici che, come si sa, possono perdere quota facilmente.

  4. giancarlo borluzzi Says:

    Gentilissima Piera, in Valle d’Aosta mi è sorta l’insofferenza verso le frottole di chi sgoverna questa parte d’Italia e poiché le frottole riguardano lingue, dialetti, etnie, sovvenzioni et coetera, è normale che io leggendo il post sobbalzi quando si tenta di vendere come trilingue un progetto che è bilingue, con una lingua straniera da affiancare all’italiano scelta tra due.

    Il cosiddetto trilinguismo in Valle è un’idiozia perché mette comunque il francese tra i piedi per essere ossequienti verso le deviazioni mentali del Palazzo senza voler ammettere che ogni minuto di tale lingua è tempo sottratto all’inglese.

    Ci sono poi fatti tecnici da considerare; in primis, che ci saranno ben più aspiranti allo studio dell’inglese che del tedesco: conosco la realtà trentina. Quindi casino nel formare classi e predisporre insegnanti.
    Il voler far studiare lingue per 5 anni a chi poi le insegnerà è una freddura: studiano o insegnano? E chi insegna ai futuri insegnanti?
    E chi paga chi?
    Sarebbe più saggio mandarli, poniamo, due anni interi a Oxford o Heidelberg, ma poi i Landini della scuola pianterebbero casino su stipendi e indennità varie.

    Non concordo con Piera laddove fa riferimento a chi “non è del mestiere”, come se chi ufficialmente insegna avesse ipso facto maggior competenza a programmare lo studio delle lingue rispetto ad altri, posto che questi altri le scuole le hanno comunque frequentate.
    Idem sul “chi lavora sul campo quotidianamente”: l’opera dei genitori, se relativa per altre materie, appare importante in questo caso più dell’opera degli insegnanti di lingue perchè sovente… sotto il vestito (alias, titolo di insegnante di lingue) … niente oltre a studi scolastici che conferiscono solo un’asettica etichetta.

    Avevo capito che Piera non osannava tale progetto trentino, ho voluto sottolineare che, accanto allo scontato introdurre alla lingua inglese, offre la possibilità di infarinarsi in tedesco in modo alternativo. A che pro, non so.

    Chiedo venia alla signora Piera se, come a me pare, è insegnante: ma la mia esperienza di studente mi ha portato a non avere una grande considerazione della scuola in generale, per cui la giudico al max una burocrazia necessaria dai risultati fortemente inferiori all’auspicato.

  5. roberto mancini Says:

    mi sembra che il cuore del commento della signora Piera sia esemplare:

    “Questo progetto (Istruzione trilingue in Trentino) viene continuamente portato come esempio dal comitato “école en langues vda”.
    Tuttavia, a parte il titolo , trilingue non lo è affatto, non come lo intende il comitato valdostano.
    …………………………..
    E’ semplicemente un progetto che ha come obiettivo l’aumento delle ore di/ in lingua straniera, e lo vuole raggiungere gradualmente.
    Perché?
    I trentini partono dal presupposto che le lingue straniere sono in parte “estranee” , appunto perché straniere, alla realtà delle famiglie e degli studenti.”

    Ecco il punto:
    qui una minoranza di francomani integralisti sostiene invece, per motivi politici, non solo che il francese è conosciuto, ma è pure “langue véhiculaire”.
    Il che è vero, per lo 0,9% della popolazione, come accertato da una ricerca della Fondazione Chanoux.
    Che forse ( forse!) soffia sul fuoco dell’esperimento valdostano, ora abortito prematuramente.
    Insomma non arriveremo mai al buon senso trentino, qui la lingua è ideologia.
    Sconforto.

  6. Paul Says:

    “. La scuola attuale valdostana rimane comunque l’unica scuola bilingue in Italia ( e forse anche altrove) in un contesto sociale che bilingue non lo è affatto. Questo è il primo punto su cui iniziare una seria discussione pedagogica e didattica.”

    Allora neanche l’Alto Adige non è veramente bilingue (italiano- tedesco standard) visto che vi si parlano dei dialetti tedeschi (diversi tra loro da valle a valle e molto diversi dal tedesco standard).
    in Sudtirolo praticamente nessuno parla il tedesco, nella vita quotidiana si parla dialetto, il tedesco standard lo si insegna a scuola ed è riservato alle occasioni ufficiali e allo scritto ma praticamente nessuno lo parla a casa…(probabilmente anche li siamo sull’1%)
    Alla fine in Valle d’Aosta la situazione non è poi così dissimile a parte un minor uso del dialetto (in particolare ad Aosta e nei grandi centri) e un uso decisamente minore nella comunicazione scritta… In valle, come in Alto Adige, non si è mai parlata la lingua “alta” in casa (tranne eccezioni), il tedesco standard come il francese standard hanno sempre avuto un ruolo di “lingua ufficiale”, lingua istituzionale e culturale nonché di comunicazione scritta.

  7. Paul Says:

    Nel mondo germanico non si fa questa distinzione tra dialetti e lingua “alta” , cioè entrambi fanno comunque parte dell’area linguistica tedesca ( lo stesso succede in Svizzera dove i dialetti sono molto diffusi ma nello scritto e nelle occasioni ufficiali si usa l’hochdeutsch).
    Il francoprovenzale fa parte dell’area linguistica francese, il francese è comunque la lingua di riferimento in particolare per quando riguarda la comunicazione scritta..

  8. FlaBi Says:

    Una pacata remarque all’intervento di Roberto Mancini. Il progetto di Ecole en langues vda ha sicuramente una matrice elitaria e fortemente ideologica. Ma è opportuno non buttar via il bambino insieme all’acqua sporca: utilizzare lingue diverse da quella materna per veicolare concetti può essere una straordinaria opportunità educativa. Esiste in merito una ricca letteratura internazionale. Molti insegnanti valdostani hanno utilizzato / utilizzano il francese nell’insegnamento per ragioni didattiche di cui sono convinti, e sono spesso lontanissimi dall’ideologia dell’UV. Esiste anche nella dimensione locale un’abbondante documentazione. Peccato che gli estensori istituzionali del progetto si siano praticamente dimenticati di quello che la scuola valdostana ha saputo realizzare, anche se non ovunque, e abbiano preferito citare la scuola lussemburghese, slovena ecc. ecc. senza nessuna attenzione ai contesti. Al di là di questo comunque, la questione linguistica in Valle d’Aosta è così compromessa sul piano politico e ideologico da rendere difficile uno sguardo obiettivo.

  9. roberto mancini Says:

    FlaBi,

    Non l’ho compromessa io, che ho digerito in silenzio per 10 anni persino la targa con “Antoine Gramsci”.
    E che ora vedo l’ istituto “don Jean Bosco”.
    Forse la scuola dovrebbe essere sottratta agli ossessi identitari, che l’hanno occupata da 40 anni?
    Quando cominciamo?

  10. Gianna Giannini Says:

    Adolfo Hitler, Massimiliano Robespierre, Volfango Amedeo Mozart, Emilio Chanoux, Alberto Einstein, Giovanni Battista De Tillier, Edoardo Bérard, Emilia Rini, Giampiero Guichardaz, Lorenzo Viérin, Gioele Farcoz.
    Eccetera

  11. Piera Says:

    Parto da quanto dice FlaBi. “ Esiste in merito una ricca letteratura internazionale. Molti insegnanti valdostani hanno utilizzato / utilizzano il francese nell’insegnamento per ragioni didattiche di cui sono convinti”. Tutti gli insegnanti della scuola primaria in questi anni hanno utilizzato il francese nelle loro classi. Insegnare però in una classe di 6, 15, 20, 25 alunni o in una classe di paese o in una privata-super scelta oppure situata in zone residenziali o di quartiere, non è proprio la stessa cosa. Il buon insegnante deve tener conto di tutti i fattori relativi all’utenza per realizzare al meglio gli obiettivi previsti nei programmi nazionali e regionali , con attività,modalità e tempi che ,a volte, possono apparire molto diversi tra loro. Sono d’accordo col fatto che ciò che si dovrebbe fare ora nella scuola è scegliere cosa mantenere, cosa cambiare, cosa aumentare e cosa diminuire liberi però da ogni pressione ideologica -politica. La riflessione deve tener conto di tutto ,anche del fatto, per esempio, che in Valle d’Aosta ci sia ancora un’alta percentuale di alunni che abbandonano la scuola ancora prima del diploma, un dato ingiustificabile se pensiamo alla situazione economica della nostra regione. Altro esempio, sono presenti nelle nostre classi molti bambini con diverse difficoltà di apprendimento ( dislessia per dirne una), urge valutarne le ragioni . Credo che il tempo scuola debba essere ottimizzato per dare ai ragazzi, a tutti, il massimo. Non è ancora ampiamente dimostrato che un’esposizione precoce e pressoché totale a una
    straniera !) faccia bene alla crescita e agli apprendimenti degli alunni. I dati riportati delle diverse esperienze plurilingue europee, italiane ecc. sono poco significativi in quanto tutte queste scuole si rivolgono a un’utenza di un cero tipo: alunni capaci, famiglie molto collaborative e sovente anche già bilingue nel loro interno. E’ quindi normale che i risultati ,come per esempio quelli relativi all’ INVALSI, risultino alti, perché alte sono è già le potenzialità e le condizioni di partenza. Un’altra considerazione , la Valle d’Aosta è partita molto in ritardo rispetto alle altre regioni per quanto riguarda l’insegnamento della lingua inglese. Inizialmente questa lingua è stata un po’ snobbata dalle varie Amministrazioni preferendo concentrare gli sforzi della scuola sul francese. È stata una buona strategia? Di fatto ora in ogni regione d’Italia le ore di inglese al termine delle elementari sono tre, mentre da noi si fa fatica ad attuarne una. Per concludere lo dico e ribadisco serve un’analisi e una riflessione accurata e approfondita di ciò che è adesso è la nostra scuola , priva di interferenze politiche, ideologiche o troppo fantasiose. Tutti devono poter dire la loro opinione perché tutti noi siamo stati studenti ( mi dispiace che il Signor Borluzzi non ne ricordi uno decente, ma se è così bisogna prenderne atto. Per quel che mi riguarda io riesco a salvarne alcuni con pieni voti, altri no), la maggior parte di noi è/ è stato anche genitore più o meno attento, sicuramente tutti noi abitiamo nella stessa regione e siamo tutti responsabili del futuro dei nostri concittadini più giovani. All’ “école en langues vda” do il merito di aver portato la “scuola “al centro di una discussione più ampia e allargata rispetto alla solita nicchia di chi è del mestiere,non poco, ma questo è l’unico merito. Italianizzare/francesizzare i nomi propri è un fastidio per me piccolo anche se i segnali, anche minimi, non vanno mai sottovalutati.

  12. patuasia Says:

    Grazie signora Piera, sottoscrivo.

  13. Piera Says:

    correggo una frase andata …persa
    ….. Non è ancora ampiamente dimostrato che un’esposizione precoce e pressoché totale a una seconda /terza lingua (ricordo i numeri 5 d’italiano 12+13 in lingua straniera !) faccia bene…

    ….e un errore certo (cero!)


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