1° Premio Patuasia-Artisanat
Il Primo Premio Patuasia-Artisanat va a Guido Diemoz per la sua opera “La fienagione”.
“La fienagione” di Guido Diemoz è perfetta dal lato compositivo, un punto di vista che mai viene considerato nelle selezioni ufficiali. Eppure qualsiasi creazione artistica è frutto di un linguaggio che è il vero contenuto dell’opera. Il significante è, nell’arte, il vero significato. Invece l’ufficialità si ferma su quest’ultimo e solo e unicamente su di esso. Questa è un’opera bella non perché ben rappresenta un uomo che solleva un covone di erba e ricorda il passato contadino della nostra valle, è bella perché l’architettura delle sue linee si manifesta in una forma assoluta. L’uomo si trova al centro di uno spazio vuoto: un prato concavo che lo racchiude. Sulle sue spalle trasporta un enorme covone: l’erba raccolta. La natura offre, l’uomo prende. Il vuoto e il pieno che si contrappongono. Se l’uomo dovesse cadere, l’erba del covone tornerebbe a riempire lo spazio svuotato di essa. Solo le corde che trattengono il fascio testimonierebbero il suo intervento. L’uomo si eleva sulla natura tramite il lavoro. Con la sua fatica. Ma non ne intacca l’armonia, perché la sua sopravvivenza è dovuta alla comprensione delle leggi naturali. L’uomo si erge sì, ma con rispetto. Conosce il delicato equilibrio. E ne fa parte. Questo racconta la scultura di Diemoz, ma non è la narrazione a farlo, bensì le forme. Le linee concave e convesse che si snodano con equilibrio, il segno sicuro, il disegno chiaro e semplice, i volumi armonici, cioè il linguaggio che crea una scultura.
Explore posts in the same categories: Arte, Artigianato, Artisti in provincia, Bellezza, Cultura vivaTag: Fiera di Sant'Orso, Guido Diemoz, La fienagione, Premio Patuasia-Artisanat, Valle d'Aosta
You can comment below, or link to this permanent URL from your own site.
31 gennaio 2015 a 21:21
il covone o fascio di fieno si chiama “balon”: ogni balon è formato da tante “brascià” che di solito preparavano le donne: di norma da 8 (balon piccoli) a 16 (balon grandi) brascià. Conservo con cura i balon che ho ancora in famiglia, testimoni muti di un mondo ormai scomparso.
31 gennaio 2015 a 22:34
Impeccabile il commento di Patuasia sulla “fienagione” di Guido Diémoz. E non poteva essere diversamente.
Precisa, realistica e direi anche commovente la descrizione de “balon” fatta da Bruno. Bravo.Aggiungo ricordi di un tempo lontano:
Con mio fratello Ettore, che in vita sua non ha mai fatto altro che l’agricoltore, ne ho confezionati e portati parecchi di “balon” dai vari prati fino ai fienili di Mécosse e del Cachoz. Allora, anni 50 e 60, non c’erano ancora le imballatrici né i trattori…
1 febbraio 2015 a 12:30
Anch’io ho portato dei baloun , ma non ricordo di quante brascia’ era composto. Portavo anche i paquet che erano di 12 brascia’ e mi ricordo , pur essendo giovane e forte , che arrivavo al fienile con la lingua in fuori. A titolo di testimonianza i muli portavano i paquet di 24 accompagnati dal conducente che teneva in equilibrio sulla loro schiena gli epioun ( che erano delle pertiche appuntite di circa 2,80 metri)piantati nel paquet.
1 febbraio 2015 a 14:19
Bravo,ovviamente, anche a Elio. A Saint-Georges i paquet si chiamano “fé”, appunto di 24 brascià.Pensiero verso sera: tra i tanti politici oggi in auge, quanti dovrebbero dedicarsi al trasporto di balon e fé con indubbi vantaggi non solo per l’agricoltura di montagna?