Ventennale di “Bambini di Guerra” (3°parte)


Non ho voluto sedermi al tavolo delle autorità e non per modestia. Avevo piena consapevolezza di quale era il mio posto: in mezzo agli altri. Accanto e vestito in blu, il Console italiano.

Non ho voluto sedermi al tavolo delle autorità e non per modestia. Avevo piena consapevolezza di quale era il mio giusto posto: in mezzo agli altri. Accanto e vestito in blu, il Console italiano negli USA.

Non volevo la solita mostra cronologica, volevo qualcosa di più. Colpire al cuore. Ma non solo, volevo far riflettere sulla natura del bambino che è sempre e solo un bambino di qualsiasi nazionalità sia. Ho girato per Agenzie: Contrasto a Roma, Farabola Foto a Milano, il Centro studi ebraico e Grazia Neri,  sempre a Milano. Ho visionato migliaia di immagini terribili e strazianti. Ho versato laghi di lacrime. Ho scelto le foto seguendo il racconto che volevo. Alcune di fotografi noti altre di sconosciuti. L’eccezionalità non era nell’autore dello scatto, ma in ciò che rappresentava. Il soggetto era lui, il bambino. I suoi sentimenti, le sue sofferenze, le sue paure. Non c’è differenza alcuna fra un piccolo ferito palestinese e una bosniaca. Entrambi piangono allo stesso modo. Allo stesso modo hanno paura. Le ferite sono quelle di qualsiasi guerra e in qualsiasi latitudine. Vittime tutte diverse eppure tutte uguali. La guerra è un affare di adulti. I bambini muoiono e non sanno il perché. Non volevo emozionare con facile retorica (quanto è stato arduo non scivolare nel patetico!) o con comodi sentimentalismi. Volevo si ragionasse sulla natura del bambino. Si comprendesse il suo punto di vista. Quello di chi, in un conflitto, paga il prezzo più alto. Scegli le immagini, scartando le più atroci. Per rispetto delle vittime e per evitare che gli sguardi diventassero morbosi. La mostra ebbe il patrocinio dell’Unicef, del Parlamento Europeo, della Federazione mondiale delle Città Unite e della Association Mondiale des Municipalités francophones. (continua…)

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One Comment su “Ventennale di “Bambini di Guerra” (3°parte)”

  1. giancarlo borluzzi Says:

    Dovrei prima documentarmi sulla mostra e solo poi esprimermi, ma credo ci siano tanti che, come me, vengono solo ora a sapere di questa iniziativa di vent’anni fa e non si propongono di conoscerla meglio in biblioteca (cosa che io farò quando ci andrò), per cui sarebbe stato positivo se, in questi sei post (supponendo non ne escano altri), fosse stata puntualizzata meglio la ratio dell’iniziativa stessa.
    Direi che dovrei cercare di reperirla in questo quarto post, quello che più si esprime in merito, ma la motivazione della mostra non è qui ben definita.

    I bambini e le loro sofferenze: ok, ma il fine?
    Si ritiene di combattere il concetto di guerra evidenziandone gli effetti sui bambini?
    Se così fosse, direi che non è centrata la gerarchia delle importanze, nel senso che, dato per scontato il carattere devastante per i bambini delle guerre, queste scoppiano per cause a monte rispetto agli effetti a valle e appunto su tali cause sarebbe in primis necessario l’approfondimento.
    Cause che difficilmente potrebbero essere oggetto di mostre fotografiche, mi si ribatterà.
    Certo, ma la ratio avrebbe dovuto avere uno spazio di trattazione maggiore a latere della cronaca giornalistica dei fatti successi.

    Potrebbe PFM (non Premiata Forneria Marconi bensì Paolo Faletti Marburg) aggiungere qualcosa in merito, visto che appare documentato?


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