Cavalli felici
In questa valle verde e bella i cavalli stanno felici nella stalla. Sono tanti e tutti bravi e soprattutto buoni. Con queste eccellenze qualcuno si è pure inventato un ruolo di critico. Poi, saltuarialmente, ci sono anche i quadrupedi venuti da fuori: la biada è più succulenta e la stalla sempre calda e accogliente. Uno di questi cavalli sempre pronto a partire e infatti se ne è andato, è Franchino Tripodi tornato alla sua terra natia, la Calabria. Di lui ricordiamo la canzone “La mia Valle”, che doveva diventare la nuova ambasciatrice della Valle d’Aosta. Note sulle quali Mogol ha scritto le parole. L’inno doveva celebrare la Valle d’Aosta, ma tutti l’hanno subito scordato e, a parte lui e qualche altro, mai cantato una volta. (La vecchia Montagnes valdotaine non la pensiona nessuno!). Dell’orgoglio provato dall’ex assessore alla Cultura, Laurent Viérin, per la canzonetta firmata da quello che lui ha definito il più grande paroliere contemporaneo, che ne è stato? E “l’unione tra più generazioni di valdostani, che si ritrovano a celebrare la cultura di un popolo e del suo paesaggio attraverso la musica e la voce da sempre compagna preziosa delle genti di montagna” che fine ha fatto? E che ne è stato dei 3000 cd acquistati al prezzo di 27. 200 euro? E dei giovani formatesi nel Centro Europeo di Toscolano, sempre di Mogol a cui la Regione ha firmato puntualmente numerose delibere alquanto significative? L’acqua scende giù dai monti e risciacqua e porta via. All’alba ci troviamo solo con i sassi. E Tripodi se ne va. Scrive della magia delle montagne, ma poi di queste dice di non poterne più! Preferisce il sole e il mare! Insomma, la mia Valle è la mia chiesa, ma qui non c’è più religione!
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18 gennaio 2014 a 10:33
Sono amico di Franchino da quasi trent’anni e posso dire che è una delle persone più oneste e trasparenti che io abbia mai conosciuto. La sua storia parla per lui che ha rinunciato ad una probabile carriera dopo il terzo posto a Castrocaro per non doversi piegare al “sistema”. Non gli è mai interessato niente del denaro. A lui interessava la sua musica e sperava, attraverso di essa, di poter aiutare le persone in difficoltà, soprattutto i bambini. Ha scritto l’inno perché è bravo, capita. Che poi sia finito in meccanismi dai quali era sempre fuggito, può darsi. Se avesse veramente avuto interesse in una stalla calda e accogliente e in una mangiatoia piena crede che se ne sarebbe andato?
18 gennaio 2014 a 13:07
Il post non era riferito al signor Tripodi in particolare, dopotutto di lui non ne so niente, ma al “sistema cultura” valdostano. Di lui ho solo constatato la buffa affermazione riportata sulla Stampa in cui si legge che se ne è andato perché stanco delle montagne, le stesse che ha magnificato nel cosiddetto inno. Buffa perché fa a pugni con un’altra affermazione dell’allora assessore, Viérin, che diceva di come “La mia Valle” fosse la testimonianza del forte senso di appartenenza al territorio valdostano. A me scappa da ridere a lei, signor Nemo, no?
18 gennaio 2014 a 13:37
Non ho mai sentito maledire tanto queste montagne quanto da mia zia Ernestina, nata, vissuta cresciuta e morta a Sarral di Rhemes-Saint-Georges, figlia di un mondo ormai defunto, in cui bisognava strappare alla pietra e ai rovi quattro patate, un po’ di segala e quattro fili d’erba per le mucche. E così è stato per generazioni e generazioni di gente di montagna (non solo valdostani). L’invenzione della montagna felice e paradisiaca è di origine romantica e cittadina e sopravvive ancora nella propaganda. Nel sette-ottocento, la Valle d’Aosta era più popolata di quanto il territorio producesse per dar loro da mangiare per sopravvivere. Chi poteva scappava e qui rimanevano, per numerosi mesi, solo le donne e i cosiddetti “cretins”, su cui si è dilungato De Saussure. I migliori non tornavano. Non penso che baby Vierin, Mogol e Tripodi abbiano gran conoscenza di quel mondo, che era il mondo reale, e non quello fantasticato da Rousseau e compagnia.
18 gennaio 2014 a 15:05
Mogol non possiede un suo orgoglio? una sua anima? ………sempre pronto a vendersi per soldi.
ancora…bah. lo so che c’entra poco con il tuo articolo,ma questo pensiero mi viene dal dentro.
18 gennaio 2014 a 15:22
Ma un amore più finire…all’epoca era innamorato delle montagne e ha scritto un testo sincero. Ora ama il mare. Non vedo che cosa ci sia di così ridicolo, francamente.
19 gennaio 2014 a 01:25
Leggendo questo post, non so per quale associazione di idee, mi è venuto da pensare a quei video spassosi e intelligenti dal titolo “coglioni no” che in questi giorni impazzano in rete, prodotti a costo zero da alcuni ragazzacci in gamba. Chissà cosa penserebbero di queste storie quei tipi simpatici.”Coglioni sì”, penserebbero. E con loro, i tanti cantautori ricchi di talento ma poveri in canna, se solo sapessero che la mecca si trovava in Valle d’Aosta, fino a pochi tempo fa.
Funzionava così: bastava venire qui, pagare un piccolo “obolo artistico” al profeta della “culture locale” scrivendo una qualsiasi porcheria infarcita di stereotipi fatti di prati verdi e montagne innevate e… vai con tremila copie vendute, d’amblé e a prescindere. Cose che di questi tempi farebbero gola a qualsiasi musicista affermato. Nessuna concorrenza, nessun rischio di stroncatura critica (quale critica?).
Magari, tanto per avere un blasone e non dare troppo nell’occhio, si doveva simulare una collaborazione con un ex-paroliere di successo, meglio se miliardario tronfio e opportunista, obnubilato dai fiumi di diritti SIAE accumulati e dalle troppe marchette (vedasi il caso dell’inno della Lega). Naturalmente, oltre ai ventisettemiladuecento euro per l’acquisto degli imprescindibili CD, a carico del contribuente andavano aggiunte le spese da scucire al sommo vate (ma tu, che ne sai di un campo di grano?) e, dulcis in fundo, quelli per l’immancabile concerto alla Saison Culturelle. E non si parla mica di bruscolini.
Mostri sacri che fanno marchette, personaggi improbabili che si atteggiano a grandi artisti. Quanti casi simili si potrebbero elencare! Tutto a spese del contribuente, con l’aiuto del politico compiacente. In giro per il paese, Valle compresa (forse), creativi validi, artisti significarvi e attuali che producono e lavorano senza un soldo in tasca. Ma forse non usano la parola “Culture” a sproposito come gli altri, e allora… se ne sono andati o stanno per partire. Che siate politici, mostri sacri o artisti da strapazzo (sì, soprattutto gli artisti), non ci venite a raccontare che sono solo canzonette. Coglioni no.
“Gli impresari di partito
mi hanno fatto un altro invito
e hanno detto che finisce male
se non vado pure io
al raduno generale
della grande festa nazionale!
hanno detto che non posso
rifiutarmi proprio adesso
che anche a loro devo il mio successo,
che son pazzo ed incosciente
sono un irriconoscente
un sovversivo, un mezzo criminale”
na-nana-na-nana-nanana
E.T.
19 gennaio 2014 a 11:26
Grazie signor E.T per non farmi sentire sola.
Che ne sai tu italiano di un un grande campo di grana! Grana azzurra grana chiara tra le mani posso finalmente avere na-na-na. La mia chiesa è la mia banca…!
19 gennaio 2014 a 14:24
ma non finisce (finiva) qui! in preda a febbrone autoreferenziale, il nostro ex assessore all’Istruzione e cultura si faceva, de temps-en-temps, abbindolare anche da altri strepitosi venditori di fumo: a una ditta del centro italia (di cui non ricordo il nome ora) venne assegnato l’incarico di studiare un carattere (tipografico) “Valle d’Aosta”, poi fornito a tutti gli uffici regionali e usato per le nuove targhe d’acciaio, per rifare la toponomastica di Aosta. la cifra era ovviamente uno sproposito. e in più nessuno, se non pochissimi addetti ai lavori, si accorsero della solenne minchiata strapagata. volendo posso rintracciare noms et cognoms della ditta e costi precisi della marchetta.
19 gennaio 2014 a 14:26
pardon, volevo dire “nessuno si accorse”, ovviamente (e non “si accorsero”)
19 gennaio 2014 a 16:10
No, le targhe d’acciao sono fatte con un altro carattere: il carattere Aosta, disegnato appositamente per lo scopo dal grafico Arnaldo Tranti e volute dall’altro memorabile assessore alla Cultura del comune di Aosta, Andrea Paron.
19 gennaio 2014 a 18:42
E se ne sentiva proprio il bisogno di un altro carattere (e anche del primo, in effetti)! Ma è tipico del carattere dei nostri amministratori valdostani: fare robe costose che non servono a nulla.
19 gennaio 2014 a 22:34
Signor Et,
Analisi impeccabile, grazie!
21 gennaio 2014 a 17:48
Grazie a lei signor Mancini, che si accolla il lavoro sporco.
Solo non capisco perché le tante porcherie fatte da artisti e sedicenti tali passino sempre in secondo piano rispetto ad altri settori. In generale intendo.
Sarà un mio limite, ma non riesco a vedere la differenza tra un’assunzione di favore presso una società partecipata per puri scopi elettorali o familistici, e una serata di un dilettante pagata decine di migliaia di euro alla Saison o, che so, un’assunzione presso una delle tante fondazioni culturali locali, faccia lei. Non colgo la sfumatura tra un finanziamento dato a fondo perduto a un allevatore improduttivo, e gli incarichi strapagati dati a profusione ai soliti quattro creativi autoreferenziali. Per non dire degli emolumenti elargiti negli anni ai vari consulenti di questi settori: nullafacenti (quando non incompetenti) che percepiscono decine e decine di migliaia di euro soltanto per “scegliere” questo e quello.
Non amo gli impostori e i millantatori, soprattutto se sono pagati profumatamente con soldi pubblici per capacità che non possiedono o che possiedono in maniera risibile rispetto alle somme effettivamente percepite. Lo considero un furto.
Di fondo gli scopi sono sempre gli stessi, le somme di denaro sprecato anche. Eppure la popolazione, a parità di bruttezza e inutilità, é indulgente e valuta questi fatti senza quello sdegno riservato, che so, a un paio di mutande verdi acquistate da un presidente di regione. Ma forse il particolarismo di questa regione é proprio questo: le mutande verdi di Cota, anche se costano poco, indignano perché sono state acquistate all’estero e non nel banco al mercato di qualche mio amico o parente.
Dopo il Mameli della Valle d’Aosta, cose da far rivalutare immediatamente canzoni come “Menomale che Silvio c’é”, ci vorrebbe adesso un piccolo Battiato locale che scrivesse “Povera petite patrie”. Purché non a libro paga come gli altri. L’unico modo per essere davvero credibili e non pesare sulle orecchie e sulle tasche della collettività.
E.T.
21 gennaio 2014 a 18:27
Signor E.T. l’unico dito messo nella piaga è il mio. Nessun altro ha osato mai fare una critica verso la gestione della cultura locale. Mi hanno dato dell’invidiosa e altro ancora per questo, ma è chiaro che non è così: invidiare la mediocrità e la stupidità? Quello che mi dispiace è che questo sistema clientelare non ha generato cultura nonostante siano stati elargiti molti soldi. Sarebbe importante chiedersi il perché? Forse perché basta niente per avere l’ego appagato? Quindi niente gavetta che tanto uno spazio bello e il catalogo per i tuoi quadri di merda prima o poi li avrai? Niente merito, niente qualità, ma tutti artisti e con tanto di critico specializzato in fuffa. Cortigiani, niente altro che cortigiani.