Archivio per novembre 2008
Stanlio Presidente UV!
30 novembre 2008Casi nostri
29 novembre 2008A volte le vocazioni nascono da una mancanza. Chi non ricorda Pietro Valpreda, il ballerino zoppo. I musicisti sordi si fanno forza dell’esempio del grande Beethoven. Di cantanti stonati ce n’è tanti, ma in genere si esibiscono nel chiuso del loro box doccia. Quelli che ne escono per intrattenere il pubblico in genere qualche dote ce l’hanno, perché il pubblico sa essere cattivo con chi lo delude. Ma il nostro pubblico di oggi è piuttosto stordito: se paga, come forma di rispetto per se stesso, deve essere entusiasta comunque (standing ovations a metà tra il tributo e il facciamo che andare che se no uscire dal parcheggio diventa un casino). Se non paga, ha un po’ di ritegno a cavare un dente al caval donato. Deve essere nato così il caso di D. La prima volta che imbracciò una chitarra qualcuno, giustamente, lo incoraggiò. La prima volta che scrisse una canzone, qualcuno, giustamente, lodò le parole. Di lì in poi D. decise che poteva farcela. Con indefessa fiducia nei suoi mezzi si iscrisse a tutti i festival e partecipò a tutti i raduni. Qualcuno scambiava il suo stile sciatto per una voluta critica dell’esistente, o per una parodia dell’autocritica del cantautore commerciale . Molti si accorsero che D. non era in grado di ripetere una melodia senza spianarla come uno schiacciasassi, ma gli altri applaudivano, e sembrava brutto dissentire. D. diventò così specialista di una cosa che non sapeva fare. Incise dischi, partecipò a tournée, e volta a volta gli spettatori avveduti pensavano a un cattivo ritorno delle casse spia, a una bronchite dissonante, a un empito di protesta che coinvolgeva le strutture borghesi della musica tonale. Nella storia non è un caso isolato – vedi la vicenda di Florence Foster Jenkins. Ma è forse l’unico caso nostro. Le sue esibizioni certo sono casi nostri.
Indovinello patuasan
29 novembre 2008Nuovo partito, vecchi ingredienti
18 novembre 2008Nell’isola di Patuasia si fa un gran parlare di un Partito Nuovo. Non è un gran parlare, piuttosto un vociare che si interrompe con qualche urletto in favore del defunto Galletto. Il chicchirichì che ci svegliò un bel dì e ci fece tanto sognare, è canto lontano. Del libero mare si è preferito il pantano dove veleggiare non si può. Manca il vento. Si può solo sguazzare nel fango dei piccoli egoismi. Per tutti un umano paravento a una vita senza eroismi. Comoda cloaca comoda. Speziata broda.
Così stiamo. All’ingrasso di speranze bugiarde, di soli mai accesi, di virtù bastarde. Contaminati, semmai fossimo nati innocenti, dall’avere senza essere. Piaga comune a tutti gli ivi residenti. Nessun colore ostacola l’abitudine a una mediocrità senza riscatto. Meno che mai quello scarlatto. L’acerbo prova e ci riprova a fiatare nel becco del pennuto per rinnovar la fede nell’Unione. Ma, quel gran campione dell’ottimismo illuso, spreca il suo tempo alla ricerca di un’arca ormai in disuso.
La pietanza non si rinnova se gli ingredienti sono sempre gli stessi. Siamo troppo pochi, non bastano le menti per una avventura davvero coraggiosa. Per non cascare nella melanconia di una giornata uggiosa, si può sperare in una differente procedura: variare le componenti dell’usuale ricetta. Nuovi pesi e misure per la corsa di una novella staffetta.
Di nuovo si parla ovunque e spesso: di metodo, di partecipazione, di far politica, ma il da farsi però è per tutti sempre lo stesso. Tristezza per favore va via. Da questa casa che ancora non c’è e già non è più mia. Ti prego, non invadere la mia stanza e lasciami un briciolo di speranza. L’america ha eletto un presidente nero, possibile che qui non si possa credere in un Partito vero?
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